giovedì 26 luglio 2012

Anormals' Manifesto part 2


Il suono, dicono, ha sempre la meglio quando si tratta di rivalersi sul disorientamento che determina la caduta, e in questo caso addirittura la frana, della struttura che animò interi generi musicali.
Ci presenta perciò un modularissimo sintetizzatore (ha della bassline - suoni ai limiti dell' analogico monofonico e loop di poche note - e di certe batterie elettroniche, grancassa rullante charleston e percussioni naturali e artificiali); un campionatore violento (mai un loop, al loro posto registrazioni ambientali e brani di altri musicisti); parecchi toni di chitarra fra i quali arpeggi cupi, riff monolitici, suoni distorti, e molto feedback. 
Quanto alla struttura, abolita l' estrema sommarietà della forma canzone, rimane improvvisazione, tempi lunghi, movimenti dilatati e, ad accompagnare tutto lo svolgimento della sessione, un articolarsi di parti, di stacchi, di silenzi e cambi (a volte leggeri, a volte mordenti), di alternanze fra i due schiacciate e indistinte, spesso disposte su avvolgenti diagonali. La lunghezza varia in rapporto alle circostanze e all' ispirazione.
Del resto Anormals dimostrano una volta di più di non volersi attenere strettamente a concetti prestabiliti. Dichiarano che ogni loro sessione realizza una figura a lungo vagheggiata. Si tratta di una rivincita sul frammentismo al quale va incontro chi si picca di rispettare una serie di dettami. Al numero uno essi affermano che ci deve essere un suono totale: da ciò l'idea di base di sintesi. Per tracciare questa figura le dinamiche risultano  di capitale importanza: la dinamica è la vita. Non bisogna procedere per particolari, ma condurre tutto nel medesimo tempo, sÏ che l' insieme assorba o nasconda gli accorgimenti, i cavilli, i diversivi della struttura.

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